“Tu nun sì razzist, tu sì strunz”.
Sette parole. Solo sette parole per dire quello che intellettuali, professori, psicologi e sociologi provano a dire da anni con miliardi di vocaboli in migliaia di libri. Bisognerebbe fargli una statua alla signora della circumvesuviana, anzi doje: una per il coraggio di essersi fatta sentire quando quelli attuorno facevano finta che ‘o cazz nun er ‘o lor, e un’altra per quelle sette parole messe in fila, che sono rivoluzionarie.
Pecchè è accussì. Sentirsi migliore, superiore agli altri solo per il colore della pelle o per la nazionalità denota pochezza neuronale, è pe chest sì strunz. Sentirsi padrone di casa senza dare il buon esempio, senza essere ospitale è una richiesta di rispetto senza rispettare. E, o sann pur ‘e criatur, quando fai così hai l’effetto contrario. È pe chest sì strunz.
Che poi noi Napoletani siamo conosciuti nel mondo per la nostra ospitalità, ma che cazz ce stà succerenn? Solo per fare un esempio, da noi gli omosessuali, i transgender, fanno parte della cultura popolare da secoli, quando in tutto il mondo venivano demonizzati ed emarginati. Per noi il “femminiello” era ed è di casa, trattato con rispetto e mai giudicato per le sue scelte di vita. Da noi sono passati gli Arabi, e Frances, e Spagnuol, e ‘mericani e siamo andati d’accordo con tutti e addirittura abbiamo attinto alla loro lingua per arricchire la nostra. Se oggi siamo così, straordinariamente diversi dagli altri, è anche per questa nostra naturale propensione all’apertura nei confronti di tutti. Si riuscimm a metter tenda, ad integrarci, in qualsiasi posto del mondo andiamo, è grazie pure a questo.
Arrubbiamoci quindi le parole della signora, senza nessuna paura, e se ci troviamo davanti a una scena simile a quella a cui ha assistito lei, aizzamm a voce e allucchiamo pure noi le sette parole rivoluzionarie “TU NUN SÌ RAZZIST, TU SÌ STRUNZ!”.